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Caso marò/ Una sentenza favorevole ma con molti (troppi) silenzi

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Dopo quasi otto anni e mezzo da quanto avvenne nell’Oceano il 15 febbraio 2012 a circa 20 mg. dalla costa indiana del Kerala il Tribunale dell’Aja ha pubblicato la sentenza che  è favorevole all’Italia in merito all’esercizio della giurisdizione che viene riconosciuto in via esclusiva al nostro Paese in quanto, come sottolineato dalla Farnesina, i due Fucilieri di Marina erano funzionari dello Stato italiano, impegnati nell’esercizio delle loro funzioni, e pertanto immuni dalla giustizia straniera. In essa non c’è ancora, quindi, quell’accertamento incontrovertibile dei fatti che potrà essere conseguito solo con il procedimento penale da svolgersi in Italia.

Ma la sentenza convalida allo stesso tempo la ricostruzione indiana dei fatti che ipotizza l’uccisione da parte dei Fucilieri di Marina imbarcati sull’ “Enrica Lexie” di due pescatori indiani dell’equipaggio del peschereccio ““St. Antony”, facendone derivare la nostra responsabilità per aver violato il principio della libertà di navigazione in alto mare stabilito dalla Convenzione del diritto del mare (Unclos). L’Italia dovrà risarcire le famiglie dei pescatori. L’India ha chiesto un risarcimento etico e morale.

Quello della violazione della libertà di navigazione addebitata all’Italia è una questione controversa che contraddice l’essenza del regime internazionale della pirateria la quale, di per sé, rappresenta proprio una minaccia navigazione in alto mare. Le Nazioni Unite avevano emanato risoluzioni incentrate sull’autorizzazione ad usare tutti i mezzi necessari a neutralizzare la pirateria in nome della sicurezza dei traffici marittimi. Non va dimenticato d’altronde che l’incidente si sarebbe svolto all’interno dell’area che l‘International Transport Workers Federation (Itf) aveva definito, sulla base della casistica degli attacchi pirateschi, come “zona ad alto rischio pirateria” estesa dalle coste somale sino a quelle indiane. Al suo interno i mercantili erano invitati ad adottare le misure di autoprotezione raccomandate dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo) come Best Practice. Tra queste misure erano comprese l’imbarco di guardie private o di personale militare; in proposito non va dimenticato che, secondo l’International Maritime Organization (IMO) “the provision of Military Vessel Protection Detachments (VPDs) deployed to protect vulnerable shipping is the recommended option when considering armed guards”.

Di questo tenne conto l’Italia quando con l‘articolo 5, commi l e 2, della legge 2 agosto 2011, n. 130 adottò il sistema per così dire binario dei “Nuclei militari di protezione” (NMP) assegnati dalla Marina militare ai mercantili, e delle Guardie Giurate abilitate dall’Interno a scortare le stesse navi. A fronte di tali accuse rivolte al nostro Paese la decisione ha invece escluso ogni responsabilità dell’India per non aver cooperato con noi nell’azione di lotta alla pirateria. L’altra faccia della medaglia del caso è infatti rappresentata dalle modalità con cui la “Lexie” fu indotta ad invertire la rotta: il mercantile – come da noi affermato nell’ambito del procedimento arbitrale e della precedente fase svoltasi avanti al Tribunale del Diritto del Mare (Itlos) per l’adozione di misure provvisorie –  non solo fu ingannato con la richiesta indiana di entrare a Cochin per riconoscere i pirati, ma in un certo modo vi fu costretto. La Guardia costiera indiana fece ricorso a forme di coercizione circondando la nave con forze aeronavali a 36 miglia dalla costa, all’interno della Zona economica esclusiva (Zee).

Il dirottamento della Lexie sarebbe altrimenti potuto avvenire solo con il consenso formale dell’Italia, quale Paese di bandiera. Quindi sarebbe stata l’Italia ad aver subito la violazione del principio della libertà di navigazione. Nonostante le contraddizioni la sentenza confuta le tesi dell’India volte ad individuare la Zee in una zona smilitarizzata in cui sarebbero vietate, senza autorizzazione, attività navali straniere, compreso il transito di mercantili con personale armato di protezione.

Oggi nell’ambito della Corte arbitrale è stato prezioso il voto favorevole del Presidente, il russo Vladimir Golitsyn, e del giudice coreano Jin-Hyun Paik, e a quello del giudice italiano, Prof. Francesco Francioni.  L’India incassa il riconoscimento della buona fede nella protezione delle attività dei propri pescatori all’interno di quella che al tempo era una zona a rischio pirateria e nella gestione   delle concitate fasi del “dirottamento” del nostro mercantile.

C’è un pericoloso silenzio sul prolungato regime di privazione della libertà personale dei nostri Fucilieri in India, aggravato dal loro status di militari stranieri. Infatti la normativa sull’imbarco dei NMP è stata abrogata dall’Italia nel 2015, dopo che erano state eseguite più di trecento missioni di protezione dei mercantili di bandiera nazionale in una fase in cui la pirateria era, nell’Oceano indiano, una reale minaccia ai traffici di bandiera italiana più volte oggetto di attacchi armati e sequestri. E’ invece ancora attiva la misura di autoprotezione delle “Guardie Giurate” che è stata da ultimo disciplinata dal Decreto del Ministero dell’Interno 139-2019. Il provvedimento stabilisce il loro impiego a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana che transitano in acque internazionali a rischio pirateria come quelle del Golfo di Guinea.

 

 

 

 

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